È stato presentato il 9 luglio a Roma il Position Paper Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino, redatto da un ampio gruppo di donne femministe attive su diversi temi – rappresentanti di associazioni e organizzazioni femministe e femminili, di organizzazioni della società civile e di ONG, oltre a singole esperte – coordinato da D.i.Re Donne in rete contro la violenza.

Mosse dall’urgenza di reagire “a una marginalizzazione delle donne diventata ormai insostenibile, dopo che nei primi 6 mesi di quest’anno le donne hanno retto praticamente questo paese”, come ha sottolineato in apertura Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, le 68 esperte hanno organizzato le proposte seguendo le 7 aree critiche identificate dalle Nazioni Unite per rilanciare la visione e i progressi generati dalla Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino, adottate all’unanimità da tutti i governi del mondo:

  1. Sviluppo inclusivo, crescita condivisa e lavoro dignitoso
  2. Povertà, protezione sociale e servizi sociali
  3. Violenza maschile contro le donne
  4. Partecipazione, accountabilitye istituzioni gender-responsive
  5. Società pacifiche e inclusive
  6. Protezione, conservazione e rigenerazione dell’ambiente
  7. Istituzioni e meccanismi per l’uguaglianza di genere

“Venticinque anni fa, in occasione della IV Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, è stata lanciata al mondo la promessa di uguaglianza con una chiara indicazione di quali fossero i diritti delle donne da realizzare”, ha proseguito Veltri. “Oggi con il Position Paper vogliamo ribadire con totale chiarezza e autorevolezza che senza le donne il sistema fallisce”.

“Prima della pandemia il mondo era diventato molto più ricco, ma molto più iniquo di quanto non lo fosse stato dalla Seconda Guerra mondiale in poi”, ha ricordato Daniela Colombo, economista dello sviluppo, di Effe Rivista femminista, introducendo il contesto in cui è nato il Position Paper. “In una ventina di anni una ricchezza enorme si è concentrata nella mani di pochissimi soggetti, e in una cornice di iper-liberismo sfrenato sono mutate le relazioni di potere negli Stati e tra gli Stati con un effetto particolarmente negativo sul godimento dei diritti umani e sull’ambiente”.

Per Claudia Pividori, esperta di diritti umani del Centro veneto progetti donna, che insieme a Elena Biaggioni, referente del Gruppo avvocate di D.i.Re, Marcella Pirrone, avvocata di D.i.Re e presidente di WAVE – Women Against Violence Europe, e Alice Degl’Innocenti, vice presidente di Vivere Donna di Carpi, ha curato la redazione del Position Paper “queste 7 aree devono diventare il fulcro di una nuova agenda politica. Le misure devono essere in grado di incidere sulla struttura socio-culturale patriarcale, mettendo in discussione le norme sociali e gli assetti economici e sociali che rendono le donne invisibili e negano il loro valore”.

Tra queste misure, Giovanna Badalassi, economista di Ladynomics, ha rilanciato “il bilancio di genere, uno strumento fondamentale in questo momento in cui l’italia dovrà decidere come investire 300 miliardi di aiuti dall’Europa, una occasione che non può essere mancata dopo 20 anni di sperimentazioni a livello di amministrazioni pubbliche, imprese e università”.

Tema “caldo” del momento, dopo mesi di smart working e lavoro di cura non pagato delle donne che ha consentito la gestione di 3 mesi di lockdown, è l’occupazione femminile, “che si realizza se si interviene su una molteplicità di livelli che solo se combinati possono avere un impatto significativo”, ha spiegato Stefania Pizzonia, presidente di LeNove, “a cominciare da un sistema territoriale di servizi per la cura dell’infanzia e delle altre persone dipendenti”.

Il problema principale restano però “gli stereotipi sessisti che continuano a essere l’ostacolo principale alla valorizzazione delle competenze delle donne che nella realtà sono attive in tutti i campi con risultati di eccellenza”, ha ribadito Pizzonia. “L’investimento sulle donne potrebbe – secondo alcune stime dello stesso Ministero del lavoro – generare un incremento di 1 o 1,5 punti percentuali del PIL”.

“Il de-finanziamento dei sistemi sanitari, che ha creato forti disparità nell’accesso alla salute a livello territoriale, combinato con il feroce attacco portato avanti da movimenti conservatori fondamentalisti alla libertà femminile sta avendo un impatto drammatico sui diritti riproduttivi delle donne”, ha spiegato Stefania Graziani, sociologa di SNOQ-Torino. “Linee guida e formazione sulla medicina genere-specifica, concorsi riservati a medici non obiettori, contraccezione universalmente gratuita, prevenzione ed educazione alla salute sessuale e riproduttiva nelle scuole, un sistema informativo pubblico su contraccezione e IVG”, sono tra le proposte concrete elencate da Graziani per superare “una negazione sempre più grave dell’autodeterminazione delle donne in relazione al loro corpo”.

Stereotipi e sessismo “sono la radice culturale della violenza maschile contro le donne”, ha sottolineato Oria Gargano, presidente di BeFree, ricordando che “occorre rivedere con urgenza i criteri con cui sono accreditati i centri antiviolenza, per non negare la loro risorsa fondamentale, ovvero la relazione tra donne che nutre i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, trasformandoli in servizi assistenziali e non spazi di empowerment”.  La PAS “deve uscire definitivamente dai tribunali”, ha aggiunto Gargano, “investendo nella formazione adeguata di tutti gli operatori del sistema giudiziario”.

Per Maria Grazia Giammarinaro, giudice dell’associazione GIUdIT e Rappresentante speciale delle Nazioni per la tratta degli esseri umani, “di fronte alla tratta, che vede coinvolte migliaia di donne sul territorio italiano, occorre riconoscere competenze e capacità delle tante donne che sono invece agenti di empowerment. Lo Stato italiano, che si era dotato di una delle legislazioni più avanzate ed efficaci in materia, deve tornare ad applicarla senza condizionamenti, ovvero senza barattare il supporto sociale alla denuncia dei trafficanti, cosa che non tutte le donne sono in grado di fare”.

“La prospettiva dell’intersezionalità deve essere considerata in tutte le questioni affrontate dal Position Paper”, ha ribadito l’antropologa Marina Della Rocca, “per cogliere le forme di violenza agite sul piano istituzionale che sono esacerbate da forme di discriminazione e di stereotipi che colpiscono tutte le donne, ma in particolare coloro che sono in percorso migratorio”. Per questo il Position Paper chiede “di rendere effettivo l’accesso al permesso di soggiorno ex art. 18bis nei casi di violenza domestica senza condizionarlo alla denuncia del maltrattante, e di sviluppare un sistema di accoglienza che consenta l’identificazione precoce delle vulnerabilità per facilitare l’accesso alle misure di protezione, compreso lo status di rifugiata”.

“La rappresentazione delle donne non può continuare a tradire la realtà della loro vita, giustificare la violenza maschile, minimizzare hate speech e body shaming”, ha affermato Mimma Caligaris, giornalista sportiva presidente della Commissione pari opportunità della Federazione nazionale della stampa e vice-segrataria dell’Unione della stampa sportiva italiana. “Pretendiamo un’applicazione rigorosa della Carta di Venezia, un Osservatorio sui media, e la formazione capillare non solo di chi lavora nei media ma in tutte le amministrazioni pubbliche, affinché finalmente diventi prassi l’adozione di un linguaggio di genere. Avvocata, medica, sindaca sono parole italiane”.

“Con il lockdown la natura è rinata, confermando il drammatico impatto dell’attività umana sul cambiamento climatico e sugli ecosistemi naturali”, ha fatto notare Laura Cima, ex parlamentare, ecofemminista e fondatrice di IF Iniziativa Femminista. “La parola chiave per cambiare questo trend è cura, partendo dall’esperienza delle donne che sono già ampiamente attive nei settori più innovativi ed ecostenibili dell’agro-alimentare, per un cambiamento di approccio non più rinviabile”.

Elena Biaggioni, avvocata penalista del Coordinamento donne di Trento e referente del Gruppo avvocate di D.i.Re, che ha coordinato la conferenza stampa, ha concluso invitando “a fare del Position Paper uno strumento di lavoro capace di unire, creare alleanze, sviluppare azioni concrete di dialogo con le istituzioni, come le organizzazioni delle donne e della società civile hanno dimostrato di saper fare. Perché la discriminazione è un doppio danno, per le donne e per la società”.

Al Position Paper “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino” hanno contribuito esperte di numerose organizzazioni aderenti alla rete D.i.Re e di Action Aid, AIDOS, Amnesty International, Be-Free, CGIL, COSPE, Differenza Donna, Donne in Quota, Donne in nero, DonnexDiritti Onlus, Escapes, LEDHA FISH e FISH, CPO FNSI, USSI, Forum Associazione Donne Giuriste, GIUdIT, GiULia, IF, Ladynomics, LeNove, Associazione Orlando, Coop. Soc. PARSEC, SCoSSE, CPO Ordine dei medici, Associazione italiana donne medico, SNOQ Torino, USIGRai, Università di Padova e progetto AGEMI, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Bologna e progetto Alice, Rete italiana contraccezione e aborto Pro Choice, oltre ad alcune esperte indipendenti.

Al Position Paper hanno già aderito AMICA – Associazione medici italiani contraccezione e aborto, ANDE – Associazione nazionale donne elettrici, AOI – Associazione delle ONG italiane – Cooperazione e solidarietà internazionale, ARCI Nazionale, Aspettare stanca, Casa internazionale delle donne – Roma, Centro di documentazione e informazione sulla salute di genere – Brescia, Centro di Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria, GenPol – Gender & Policy Insights – Cambridge (UK) e Napoli, Network Italiano Salute Globale, Noi Rete Donne, Pane & papaveri, Prima gli esseri umani, Step Up! Campaign – WAVE, Telefono Rosa Piemonte – Torino, Terni Donne – Casa delle donne di Terni, UIL – Coordinamento pari opportunità, WAVE – Women Against Violence Europe.